pietre contro il grimaldello

Domenica 17 aprile, verso le ore 23, tre giovani individui a volto coperto si sono materializzati all’ingresso dello spazio di documentazione Il Grimaldello alla fine della proiezione del film Rosetta; con un blitz tanto rapido quanto vile, i tre hanno lanciato alcune pietrate dentro il locale per poi scappare alla velocità della luce. Per puro caso non hanno colpito e ferito le due persone che erano rimaste all’interno del centro dopo la proiezione.

Proprio in questi giorni Il Grimaldello compie cinque anni, cinque anni di intensa attività in cui abbiamo provato a dare un contributo libertario alla critica di questo mondo e, più in piccolo, abbiamo costituito un piccolo presidio di vita nel cuore della Maddalena. La critica dell’esistente attraverso la diffusione di un pensiero altro (distribuzione e presentazione di libri, cicli di film, mostre, discussioni) rispetto alle logiche dominanti e l’azione pratica a sostegno delle lotte locali sono la stella che ha guidato e guida la nostra rotta.

Visti i tempi che viviamo, non può stupirci che un’attività di questo genere possa dare fastidio a più d’uno, ma la vicinanza di tanti compagni e persone che apprezzano e appoggiano le nostre attività, e soprattutto la vitalità critica ed urgente della situazione storica che viviamo, ci impongono di non disperdere energie preziose nell’inseguire le vili provocazioni di simili fascistelli (e non ci importa sapere quanto siano politicizzati).

Ai nostri assalitori per ora consigliamo di guardarsi il film in programma la sera che hanno deciso di attaccarci; dalla storia così realistica di Rosetta, una ragazza la cui condizione è così simile a quella di tanti giovani spossessati di oggi, magari ricaveranno una possibilità per capire chi sono i veri nemici che si meritano le pietrate in questo mondo al collasso.

Nel caso invece i ragazzi siano irrimediabilmente “persi”, consigliamo loro di farsi i cazzi propri, perché situazioni diverse richiedono forme di comunicazione diverse, e ad un’eventuale prossima volta la risposta non sarà un’iniziativa culturale.

 

Spazio di documentazione

IL GRIMALDELLO

via della Maddalena 81r

nuovo testo in distribuzione

da oggi è in distribuzione presso lo spazio di documentazione il Grimaldello il libro

Gilles Dauvé [Jean Barrot],

Le Roman de nos origines. Alle origini della critica radicale

A cura di Fabrizio Bernardi, Dino Erba, Antonio Pagliarone,

Quaderni di Pagine Marxiste, Milano, 2010, 304 pagine, 15 € .

Apparso sul primo numero della rivista francese «La Banquise», nel 1983, Le Roman de nos origines costituisce un primo tentativo di risalire alle radici storiche e teoriche di quella prospettiva radicalmente comunista che va sotto il nome di critica radicale, alla luce di un bilancio delle principali correnti rivoluzionarie del passato e dei grandi movimenti sociali che, lungo l’arco del Novecento, hanno scosso la società capitalistica, in Francia e nel mondo intero. Ne pubblichiamo qui, in traduzione italiana, alcuni estratti, corredati da un ampio apparato critico e bibliografico, e accompagnati da altri due testi – anch’essi finora inediti – di Gilles Dauvé e Karl Nesic: Dalla Sinistra Comunista alla «comunizzazione» e Comunizzazione, ma…

Le Roman de nos origines non ha nulla a che spartire con i cascami dei partiti nazional-comunisti, cioè con le chiese maoiste e trotskiste di diversa osservanza che animarono la scena politica nella seconda metà del secolo scorso. Il libro analizza criticamente gli apporti teorico-pratici delle principali tendenze della Sinistra comunista che, fin dai primi anni Venti, seppero scorgere e analizzare il riflusso della Rivoluzione russa; di Socialisme ou Barbarie e dell’Internazionale Situazionista, che ne raccolsero l’eredità; e infine delle minoranze radicali che, sull’onda del Maggio ’68, in Francia e in altri paesi, ne tentarono una sintesi/superamento.

Sabato 19 marzo 2011, alle h. 17, al Grimaldello, avverrà la presentazione del testo alla presenza dei suoi curatori.

Ricordiamo che Il Grimaldello è aperto tutti i pomeriggi, con una distribuzione di libri di case editrici difficilmente reperibili altrove. E’ inoltre in via di ultimazione (e quindi presto consultabile e fruibile) la catalogazione di circa 500 testi che costituiscono il primo nucleo della biblioteca, presto consultabile, a cui andrà aggiunta quella di opuscoli e riviste. Sono ovviamente ben accette donazioni di testi che arricchiscano questa biblioteca che vuole essere un ulteriore apertura di una crepa di libertà nell’ordine soffocante che ci opprime.

blocchiamo le città, sabotiamo la normalità

Si dice che i gatti hanno sette vite. Quello che sappiamo è che noi ne abbiamo una sola. Una vita di merda bloccata nelle false scelte che ci vengono propinate: studiare o lavorare, lavorare per sopravvivere o cavarsela per trovare dei soldi in una maniera o nell’altra; stare zitti o farsi manganellare quando ti fai sentire, starsene rinchiusi in casa o rifugiarsi nelle zone che puzzano di concentrazione di merci; rasentare i muri fino a diventare grigi come loro, drogarsi di psicofarmaci o di televisione, votare per la sinistra o la destra. Però in questo oceano di miseria, ci sono ancora dei momenti in cui s’intravede un’altra strada a quella in cui questo treno di morte pretende di trascinarci. Ogni persona che ha a cuore un desiderio di libertà non può far altro che andare in cerca della possibilità di bloccare quel treno, della scintilla che incendi la polveriera, ovunque questa possibilità e questa scintilla si manifestino. In questi giorni sono gli studenti che sono scesi con coraggio e immaginazione per le strade di tutte le città d’Italia, bloccandole e interrompendone la normalità. Con quali obiettivi? Bloccare la riforma Gelmini? Ma non è forse l’intera scuola per sua essenza a non esser altro che la palestra preparatoria a questa prigione a cielo aperto chiamata società? Affondare il governo Berlusconi? Ma in fondo non è soltanto una variante grezza nella gestione di un dominio totalitario e annichilente, uguale dappertutto? Scongiurare la crisi? Ma non sarebbe forse un bene questa crisi, se ci portasse ad una società in cui le persone, più povere di soldi per comprare merci stupide ma più ricche di tempo di vita, tornassero a
parlarsi ed autorganizzarsi, ridando per esempio vita a quei deserti popolati di paure e di fantasmi che sono le strade delle nostre città, abbandonate al controllo di telecamere, ronde e militari? Non c’è bisogno di definirsi studenti, disoccupati, lavoratori precari per avercela con questo mondo… Queste categorie servono soltanto al potere per dividere e per incanalare le proteste in qualcosa di definito e più facilmente controllabile; ed è quando si accetta di essere incasellati che gli organi di informazione di quello stesso potere possono dire che la rabbia è sempre “guidata” da persone estranee alle lotte, da presunti professionisti del disordine (centri sociali, anarco-insurrezionalisti !?). L’unica vera differenza tra chi sente l’urgenza di scendere in strada non sta nella situazione contingente in cui si trova a vivere, ma nei propri desideri più profondi, nella sostanza di quello che si vuole cambiare; l’unica linea di demarcazione nella protesta è tra chi si accontenta di chiedere che gli siano concesse le briciole per sopravvivere in questo sistema votato al collasso e chi vuole dare credito ai propri sogni per cominciare a vivere tutti i giorni in un modo radicalmente diverso. Questo sistema può (ancora per un po’ e solo ad alcuni) garantire la soddisfazione dei bisogni primari, ma non potrà mai accontentare i nostri desideri più autentici, la nostra realizzazione come persone nel senso più pieno. Limitarsi a chiedere una riforma e dei diritti è diverso dal contestare qualcosa per cominciare a mettere in discussione tutto. Questo è il confine tra una lotta che saprà prendere coraggio dalla propria esperienza e una lotta che accetterà il richiamo della campanella. Non a caso nel maggio 68, di fronte alla sommossa generalizzata nata dalle contestazioni degli studenti, De Gaulle affermò: “E’ ora di fischiare la fine della ricreazione”. Il cuore del potere è nella successione dei doveri indiscutibili e nei percorsi obbligati che gestiscono la nostra vita di tutti i giorni, dalla scuola al lavoro, dal tempo libero agli affetti. La contestazione del potere è nel sabotaggio di questa normalità, nella ribellione a questa schiavitù. Per questo è importante che chi sente l’urgenza di tentare qualcosa di più del blocco della riforma Gelmini non ceda alla tentazione di credere che il 14 dicembre sia un momento decisivo, un possibile capolinea della mobilitazione di strada nel caso in cui le cose andassero bene (?), e che per opporsi in modo efficace sia necessario andare alla manifestazione nazionale di Roma, dove tutto sarà più spettacolare, gestibile, etichettabile… e non solo dal potere (sbirri, giornalisti ecc.) ma anche dai professionisti della politica (partiti e sindacati) che da sempre speculano sulle lotte delle persone. Fanno appelli alla calma mentre la nostra vita intera e il pianeta crepano sotto la legge del profitto e del dominio. Pretendono di soffocare i nostri sogni di libertà chiedendoci di votare, di fare prova di pazienza o di rispetto. Di fronte a tutto ciò l’unica risposta possibile è ritrovare il piacere della sovversione ed esprimere una rivolta contro un sistema che non è né astratto né intoccabile. Il potere non è nei palazzi di Roma… è ovunque, nelle strade delle nostre città, nel tempo della nostra vita.
BLOCCHIAMO LE CITTA’
SABOTIAMO LA NORMALITA’

sul fascino della divisa. dal regno del tutto identico

 

Autoproduzioni Il Sottovoce, luglio 2010

leggi qui di seguito il racconto

SUL FASCINO DELLA DIVISA. DAL REGNO DEL TUTTO IDENTICO
un breve racconto (vero) e alcune riflessioni a proposito dei militari nelle strade e di rivolte passate e future.

“L’ordine regna, non governa”

“Voi ridete di me perchè sono diverso
Ma io rido di voi perchè siete tutti uguali”

Genova. Un sabato mattina dei primi di luglio.
A passo spedito in direzione Principe, dove mi aspettano un treno per Roma e due giorni per cambiare aria. Sbuco dai vicoli assorto nei miei pensieri: la piazza antistante la stazione è semideserta nel caldo afoso. Una pattuglia di alpini, scortati dal solito carabiniere d’ordinanza, presidia il deserto. Vedere questi giovani militari, vestiti di tutto punto, con tanto di piuma in testa, mi scuote per un attimo dal torpore. Sono qui a Genova ormai da un anno, gli alpini, mandati dal Governo, qui come altrove, per far fronte alla fantomatica emergenza sicurezza che attanaglierebbe il paese.

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