(Gen-2018) L’ipocrisia della guerra

La guerra in Libia è imminente, è già tutto pronto visto che, come era previsto, il nuovo governo libico – filo egiziano e filo occidentale -ha chiesto l’intervento “alleato”.  Le principali potenze occidentali (Germania, Francia, Usa e GB) hanno   recentemente pattuito, durante il G5 di Hannover, di assecondare ogni richiesta del neo-governo, benchè questo stesso governo non sia  ancora legittimato dal Parlamento di Tobruk.  Ma, in questo modo,  risulterebbe comunque “ salvata”  la forma democratica ed umanitaria.

Intanto ci si è portati avanti: c’è  l’approvazione dell’Onu mentre gli USA stanno, da qualche mese,  bombardando alcuni villaggi. I droni americani partono dalla base di Sigonella e, per i voli di “ricognizione”, vengono utilizzati gli aeroporti di Pantelleria e Catania. Il tutto gentilmente offerto dal governo italiano che, dal canto suo, ha inviato sul suolo libico un centinaio di uomini delle forze speciali ed ora ne invierà almeno altri 600.

Ma, mentre il gioco diplomatico fra stati europei e non tesse le fila per mascherare l’ennesima conquista imperialista, il principale organo della finanza italiana, Il Sole 24 Ore, già il 6 Marzo, disvelava i piani titolando La grande spartizione della Libia: un bottino da almeno 130 miliardi, disegnando la mappa della Libia post conflitto:

  • americana la supervisione strategica del paese che ha la colpa di “detenere il 38% del petrolio del continente ((l’11% dei consumi europei)
  • francesi il Sahel e il Fezzan
  • inglese la Cirenaica
  • italiana la Tripolitania, finalmente riconquistata dopo il ridimensionamento subito nel 2011.

Grandi vincitori di questo nuovo conflitto: Total e Eni che non dovranno più farsi la guerra per continuare ad operare e a sfruttare il petrolio libico, essendosi equamente spartite gli spazi.

In tutto questo è chiaro come poco o niente c’entri l’IS (altra multinazionale finalizzata al controllo ideologico ed alla sottomissione  ai poteri locali), la guerra di civiltà contro la barbarie o le mille altre strumentalizzazioni che in questo periodo vengono dette o scritte: stati e borghesie nazionali, in questa  come in tutte le guerre, hanno da guadagnare e da spartirsi. Tutti hanno qualcosa da reclamare rispetto al fallimento della guerra del 2011 e l’Italia, in particolare, vuole riconquistare un ruolo all’interno dello scacchiere mondiale e nella regione. Questo spiega anche l’invio di 500 militari italiani a difesa della diga di Mosul, in Iraq, diga per cui una ditta italiana ha vinto un contratto per il consolidamento, e dove nessun altro esercito occidentale è presente.

E l’inutile ritornello democratico e umanitario in questo caso, più che in altri, mostra la sua pochezza, esattamente come quello sul come fermare il flusso dei profughi che scappano da paesi in guerra portando nei loro paesi la democrazia e la pace. In che modo? Attraverso la guerra!!! Anche questo è un tentativo di provare a dare risposte alle borghesie nostrane che, sempre più attanagliate dalla crisi di un’economia che non ha più bisogno di manodopera da ricattare perché ne ha già abbastanza, vogliono chiudere le frontiere  a costo di accordi con il governo autoritario di Erdogan ( che a noi costano 3 miliardi di euro).

Quanto dovremo ancora pagare per permettere il saccheggio definitivo della Libia? E a quante altre devastazioni  di territori e massacri dovremo ancora assistere?  Quanto ancora verranno inasprite le misure repressive, sia per gli italiani che per gli stranieri, in nome della lotta al terrorismo?

Al di là di ogni ipocrisia, la sorte di milioni di essere umani non interessa a governanti, banchieri e padroni e noi dalla guerra abbiamo solo da perdere. Per questo dobbiamo opporci in modo risoluto combattendo capitalismo ed imperialismo nei nostri paesi mostrando solidarietà con l’unico modo concreto a nostra disposizione: la lotta di classe.

                                                                                                                  Spazio di documentazione il grimaldello

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dall'aprile 2006, nel cuore del centro storico di genova LA NOSTRA POSIZIONE E' QUELLA DI COMBATTENTI TRA DUE MONDI: UNO CHE NON RICONOSCIAMO, L'ALTRO CHE NON ESISTE ANCORA. OCCORRE FAR PRECIPITARE IL LORO SCONTRO, AFFRETTARE LA FINE DI UN MONDO, CONTRIBUIRE ALLA CRISI IN CUI RICONOSCERE I NOSTRI AMICI. "IL GRIMALDELLO" E' PENSATO PER QUESTO, UNO SPAZIO DOVE PROVARE A SCARDINARE LA PASSIVITA' E L'ALIENAZIONE A CUI IL CAPITALISMO CI COSTRINGE NEL QUOTIDIANO.