Commento a…
Sergio Ghirardi
Lettera aperta ai sopravissuti.
Dall’economia della catastrofe alla società del dono.
Nautilus, Torino, 2007
Appunti sparsi per due presentazioni tra Genova e Padova.
“Quando
le cose sono arrivate a questo punto, quando gli errori si sono a tal
punto accumulati, non c’è che un modo per rimettere in ordine la
facoltà di pensare, ed è quello di dimenticare tutto quanto abbiamo
appreso, di riprendere da capo le nostre idee e di ricostruire, come
dice Bacone, l’intendimento umano”
Charles Fourier
Il
libro di Sergio ha senz’altro un merito: quello di affrontare il tema
della crisi, del disastro e dell’ipotesi (o della necessità) di un suo
superamento in termini non scontati. O almeno non scontati entro certi
termini, che sono quelli dell’analisi politica di stampo marxista,
incentrata sull’analisi economica della realtà, dei suoi momenti di
crisi.
In questo libro i sopravvissuti non sono solo
quelli che sopravvivono a stento: i precari, gli immigrati, i nuovi
poveri, gli esclusi, sempre più numerosi in questo tanto decantato
primo mondo.
Sergio
ribalta il discorso e il ragionamento: dall’oggettiva categoria
dell’economico a quella soggettiva e quotidiana dei sentimenti e delle
passioni che vale la pena di vivere e ci descrive un mondo che ha
sostituito la libertà tout court con la libertà di consumare,
l’amore con la mercificazione dei corpi e la reclusione dei sentimenti
entro recinti familiari sempre troppo stretti, la vita con un suo
misero e apatico surrogato.
Riallacciandosi al discorso praticato con passione dai situazionisti ai
tempi della rivolta del maggio, Sergio ritrae quello che è l’incubo
della società dei consumi, dove il lavoro è obbligatorio, ma ancor più
obbligatorio è consumare. E dove tutti i rapporti tra le persone sono
sviliti da una mercificazione sempre più pervasiva.
La
catastrofe allora, quella più preoccupante, non è quella di un’economia
che si affanna a rimboccare il suo disastro, ma quella dell’estinzione
dell’umano, dell’essere umano degno di essere chiamato tale.
Riappropriarci
dell’uomo e delle sue passioni, al di fuori da logiche di profitto e di
consumo, è forse l’unico modo per affrontare in modo radicale questo
sistema che sembra sempre più una macchina impazzita. E per provare a
ribaltarlo.
“W la révolution passione”
scriveva Asger Jorn, e lo metteva in pratica, perché l’unica
rivoluzione possibile doveva essere fatta da vite liberate dalle catene
della sopravvivenza materiale e affettiva, una rivoluzione che sarebbe
stata una passione giocosa, feroce nella sua gratuità e non un dovere
da assolvere, un compito da svolgere.
Non
riformare il lavoro, ma abolirlo per riappropriarsi del proprio tempo
di vita, non boicottare il supermercato ma agire nella logica (e nel
sentimento) della gratuità, perché l’economia esca fuori dalle nostre
vite, non possa più mercificare le nostre esistenze, ridurre le nostre
passioni a passioni per la merce.
Un altro dei pregi di questo libro imperfetto, come tutte le lettere,
che non danno risposte ma chiedono confronti, è la volontà di porre la
questione del disastro che sta corrodendo il pianeta e tutte le sue
forme di vita in termini propositivi.
Non si
tratta di aspettare che le cose precipitino, che le contraddizioni
scoppino, che le persone, gli opperssi, si rivoltino perchè non se ne
può proprio più (ma qual’è il punto di rottura di un’umanità che
dimostra di avere una soglia di sopportazione impensabile?).
Si tratta
invece di ricominciare a riappropriarsi delle proprie vite, individuali
e collettive, da subito, in gesti quotidiani come in scelte di vita che
sconfessino in modo radicale questa società che ci vuole morti in vita.
Cito dal retrocopertina:
“In
un mondo sempre più artificiale, in cui l’umanità sembra ormai incapace
di esprimere la sua volontà di vivere e di resistere a ciò che ne
ostacola la felicità, urge una riscoperta dello spirito del dono per
rovesciare la prospettiva di una sopravvivenza programmata per essere
consumata contro natura.
Se una rivoluzione è necessaria, non si tratta più di prendere il potere ma di espellerlo per sempre dalle nostre vite.
Il
mostro dell’economia autonomizzata va urgentemente fermato e nessuno
potrà farlo al nostro posto. Al dogma della crescita economica comincia
a opporsi il progetto di una decrecita piacevole e conviviale, tendente
a ristabilire
sul piano demografico, su quello dei consumi, su tutti i piani del
vivente il predominio della qualità sulla quantità. Sta a noi non
ridurlo a un’ennesima morale di rinuncia. Non abbiamo niente da perdere
se non un’immensa insoddisfazione in una tragedia planetaria.
Abbiamo da esplorare la gioia di vivere al di fuori di qualsiasi sacrificio”
Questo
libro può essere uno spunto, a partire da quale discutere, non come
sopravvissuti a una incombente catastrofe (umana e non solo) alla quale
sottrarsi finchè si è in tempo, resistere a denti stretti, o alla quale
affidare le proprie speranze di riscatto (!), ma come persone che non
vogliono rinunciare a conquistarsi la propria libertà, a reinventarsi
la propria vita. E che sono disposte, per fare questo, a dotarsi di
tutti gli strumenti necessari, anche di quelli che vanno ancora
trovati, costruiti non sulle macerie di un mondo in rovina ma sulla
risata feroce e gioiosa di una volontà di vivere radicale.
A.
ottobre 2007