La casa dei mercanti è alta su quel monte
La casa dei servi è in basso dopo il ponte
Nomadi
La tragedia del ponte Morandi ha confermato quanto siano pusillanimi e avvoltoi i politici, che hanno subito fatto intendere che al timone della barca ci sono loro e che noi potremo, dunque, dormire sonni tranquilli. Mentre loro si riempiono le tasche insieme ai vari compari: faccendieri, mafiosi di regime, benettoniani e impregilini.
L’assegnazione dei lavori di ricostruzione del ponte è emblematica. Impregilo, già parte del consorzio COCIV subcontraente di TAV SpA, ha già navigato in cattive acque per le vicende legate allo smaltimento dei rifiuti ad Acerra quando era guidata dagli imprenditori romani Salini. Presidente poi, fino al 2015, è stato Claudio Costamagna, ora alla guida della Cassa Depositi e Prestiti, ex banchiere di Goldman Sachs, banca d’affari tra le responsabili della crisi finanziaria dovuta ai cosiddetti “derivati”. Attuale presidente Alberto Giovannini che ha sempre avuto incarichi presso il Ministero del Tesoro e la Commissione Europea ed è stato membro di numerosi consigli di amministrazione, tra cui ENEL. Immaginiamo che la Cassa Depositi e Prestiti non avrà quindi nessun problema a finanziare il nuovo piano di competitività Salini-Impregilo, che prevede così di ripianare il debito milionario di Salini.
Per non partire da Tangentopoli, Impregilo nel 2016 è stata al centro di un’inchiesta sulla bontà dei materiali utilizzati, con 14 arresti domiciliari, mentre alcuni suoi responsabili sono fra le 36 persone indagate nel giugno 2018 nell’ambito del Terzo Valico. E dal Guatemala, al Kurdistan, dalla Nigeria al Nepal, dal Lesotho alla Colombia e all’Argentina, per finire con l’Italia, è sempre stato coinvolta in scandali, corruzioni, devastazioni ambientali e collusione con le varie mafie (tra l’altro per la Salerno-Reggio Calabria e per il Ponte sullo Stretto di Messina).
E che dire di Fincantieri e delle sue commesse militari avute dai guerrafondai di Finmeccanica e di Leonardo? In 230 anni hanno consegnato oltre 2.000 navi da guerra. Dei veri e propri gioielli di alta tecnologia (mortale), progettati e costruiti per conto della Marina Militare e di numerose Marine estere e altri Corpi di Stato. Anche Fincantieri si sta godendo i frutti del suo “impegno”: una nuova commessa per un’altra mega nave da crociera, sì di quelle sulle quali non saliremo mai, ma delle quali ammiriamo le cimiere dalla finestre di via Milano, per le quali ci stiamo ammalando e che ci costringono ad andare via dalle nostre case. Quelle che hanno già tirato giù due banchine del porto e per fare spazio alle quali i fondali sono stati dragati con cariche esplosive che hanno lesionato gli appartamenti del quartiere di Sarzano
Insomma, ci vendono luci di natale per lanterne e, quel che è peggio, a cascarci, o addirittura a crederci, sono anche gli sfollati del ponte e le persone della Valpolcevera, quelli che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena, magari dimentichi del fatto che anche prima del crollo fosse la stessa solfa.
Perciò chiariamo subito che uno sfruttato prima della caduta del Morandi lo sarà anche domani, perché non è costruendo ponti che si elimina lo sfruttamento. “Non passa più nessuno, siamo rovinati, dateci soldi se no licenziamo i nostri servi”, questa è la solita lamentela/ricatto dei commercianti. Ovviamente non parliamo dei fruttaroli o della piccola bottega artigianale, ma di quei signori che nei 30 anni precedenti al crollo del ponte facevano a gara a chi comprava più appartamenti (affittati magari ai nullatenenti!) e belle auto. Fettine di carne e focaccia quotate in borsa.
L’altra faccia della medaglia prevede gli sgomberi verso chi alla casa non ha diritto e lo pretende. Qui
l’efficienza delle istituzioni non conosce flessione alcuna. Dall’inizio della Valpolcevera, a Sampierdarena, fino a via Lungotorrente Polcevera, in questi mesi si sono susseguiti sgomberi di campi ed appartamenti occupati.
In questa valle, Sanac, Tubettificio ligure, Bruzzo e altre fabbriche (mentre il ponte era lì) testimoniano storie di sfruttamento e di tragedie per la salute dei lavoratori, quartieri costruiti con speculazione da quegli stessi compari che rifaranno anche il ponte. Begato docet.
Sì, qualcosa deve cambiare in Valpolcevera come ovunque; si potrebbe dire basta alla sudditanza al potente di turno, riappropriarci delle nostre vite senza delegare a nessuno il nostro futuro. Decidiamo di non stare più sotto i ponti: se qualcuno viene a dirci che è bello…ci vada lui. Siamo presuntuosi, vogliamo vivere senza padroni e possiamo farglielo vedere e far capire.
A volte la natura ci dà l’esempio, come l’ultima mareggiata in Liguria. Covo di nordest distrutto, yacht sbattuti contro la banchina a Rapallo, abbattuti covi di ritrovo della borghesia a Portofino, annientati gli stabilimenti balneari (che intanto hanno avuto la proroga delle concessioni per altri 15 anni: come si fa presto, a volte, a non applicare le direttive europee…). Certo, i danni sono irrisori per lor signori, ma se qualcuno ricostruisce e qualche altro non aspetta che sia la natura a ribellarsi, allora quel qualcuno starà molto più attento, sia che si parli di ponti o di altro.
Le informazioni che documentano lo scempio perpetrato contro uomini e natura sono ormai largamente disponibili, basta una minima dose di volontà per reperirle ed organizzarsi per opporsi. Il silenzio che accompagna i nostri quotidiani sguardi bassi non può continuare. Da una parte le infrastrutture, con cui i super imprenditori si arricchiscono, ci crollano in testa, dall’altra questi stessi ci “insegnano” ed obbligano a chiederne ancora. Le strade in zona industriale dismesse, “per emergenza” inaugurate con fasto, e “donate” subdolamente alla cittadinanza, altro non sono che concessioni ad orologeria, sempre atte alla valorizzazione degli spazi, anche i più “inutili”, nei momenti più tragici, come in quelli tranquilli.
Ciò che viene apprezzata è la docile sottomissione del miracolato, né troppo incazzato, né troppo memore dei meno fortunati. Come tutti del resto. Su quel ponte, appunto, avremmo potuto esserci tutti. Ma ci si limita, con la faccia più ingenua, a confessare alle rapaci televisioni il proprio elementare malumore.
Come detto, non c’è bisogno di alcun crollo per comprendere quali siano i sempiterni interessi del potere, ben distanti da quelle degli abitanti e dei piccoli commercianti di una delegazione periferica. Ciò che serve è svegliarsi, riprendere la propria coscienza e cercare persone su questo stesso percorso: lo scambio di idee che si concretizzino in lotta attiva, vigile su tutti i tipi di soprusi cui ormai siamo assuefatti – ed appagati – che oltrepassi il consueto mugugno (non certo esclusiva ligure, a ben vedere).
Lo sfollato della catastrofe di turno, come l’emarginato da sempre escluso da una società che non può vedere in lui null’altro che consumo e profitto, sono entrambi effetti della disumanizzazione della corsa capitalistica: debbono essere gestiti come rifiuti differenziati, ora perché riciclabili politicamente, ora economicamente. Con la diversità che ai secondi non è riservato il minuto di gloria da parte di istituzioni e media.
Perché non c’è risarcimento possibile alla classe lavoratrice o “inattiva”. Non sono gli euro che possono ridare dignità a sfruttati e discriminati. L’emancipazione dev’essere completa, individuale e sociale.
Solidarietà con gli sfruttati che hanno perso quel poco che avevano.
Bucci e Toti marchesi del Grillo del XXI° secolo.