UN TESTO DI MIKE DAVIS SULLA RIVOLTA IN GRECIA

Los Angeles 1992, Francia 2005, oggi la Grecia. Le nostre società
sono sature di una rabbia non riconosciuta che all’improvviso si
cristallizza intorno a un abuso o a un atto di repressione. Ma gli
studenti ellenici, consapevoli di essere una «generazione perduta» e
derubata del futuro, mettono in scena una ribellione «dopo Seattle»,
che non chiede riforme
.




Penso che le nostre società siano ormai oltre modo sature di una rabbia
non riconosciuta, che può improvvisamente cristallizzarsi intorno a un
abuso di polizia o a una repressione di stato. Il seme della rivolta ha
già palesemente dato il suo frutto, ma la società borghese a malapena
riconosce il suo raccolto.
A Los Angeles, nel 1992, ad esempio, ogni adolescente in strada (o,
inversamente, ogni poliziotto di ronda) sapeva che la battaglia
conclusiva stava arrivando. Tra i giovani e il governo cittadino si
stava aprendo una spaccatura sempre più ampia, tale da essere ben
evidente anche per l’osservatore meno accorto: arresti di massa
settimanali, innumerevoli pestaggi di ragazzi disarmati da parte della
polizia, la schedatura ingiustificata dei giovani black, l’esercizio
vergognoso di una giustizia a due pesi e due misure, e così via.
Eppure, una volta arrivati allo scoppio decisivo, sulla scia della
sentenza giudiziaria che assolse la polizia colpevole di aver picchiato
Rodney King fin quasi alla morte, le élite politiche e mediatiche
reagirono quasi come se una forza segreta e imprevedibile si fosse
liberata dalle profondità della terra.
I media (che perlopiù osservavano dall’alto degli elicotteri) in
seguito cercarono di far passare nell’opinione pubblica una percezione
della rivolta basata sulla drastica semplificazione e
stereotipizzazione: gangs di neri appiccavano fuoco nelle strade e
depredavano. In realtà la sentenza del caso Rodney King divenne il
nucleo attorno al quale istanze di lotta, fra loro molto diverse,
coalizzarono. Delle migliaia di arrestati solo pochi erano davvero
membri di gang, e addirittura appena un terzo erano afro-americani. La
maggioranza era composta di poveri immigrati o dei loro figli arrestati
per furto di pannolini, scarpe e televisori nei negozi di quartiere.
L’economia di Los Angeles attraversava allora (esattamente come oggi)
una forte recessione, che colpiva maggiormente i quartieri «latinos» a
sud e a ovest di downtown; ma la stampa non si era mai occupata della
loro miseria esistenziale, così l’esistenza di una «rivolta del pane»
all’interno del movimento fu quasi completamente ignorata.

In maniera simile, oggi, in Grecia, un’«ordinaria» atrocità della
polizia finisce per scatenare una rivolta che viene etichettata come
rabbia inspiegabile e attribuita ad oscuri anarchici: mentre, in
realtà, una «guerra civile a bassa intensità» sembra aver
caratterizzato da tempo la relazione tra la polizia e diversi strati
giovanili.
Non ho alcuna qualificazione per esprimermi sulla specificità della
situazione greca, ma ho l’impressione che ci siano qui importanti
discontinuità rispetto alla Francia del 2005. La segregazione spaziale
degli immigrati e delle fasce povere giovanili appare meno estrema che
a Parigi, mentre le prospettive di lavoro per i figli della piccola
borghesia sono considerevolmente peggiori: l’intersezione di queste due
circostanze porta nelle strade di Atene una miscela più varia di
studenti e giovani disoccupati. Inoltre i giovani greci appartengono a
una tradizione di protesta continua e a una cultura di resistenza che è
unica in Europa.

Quali sarebbero le richieste avanzate dai manifestanti greci?
Sicuramente percepiscono con chiarezza spietata che la depressione
globale preclude le riforme tradizionali del sistema educativo e del
mercato del lavoro. Perché dovrebbero aver fiducia in un’iterazione del
Pasok e delle sue promesse mancate? Ma è vero anche che si tratta di
una tipologia originale di rivolta, prefigurata dagli scoppi precedenti
di Los Angeles, Londra, e Parigi, ma derivante da una nuova e più
profonda consapevolezza: che il futuro è già stato derubato in
anticipo. Infatti, quale generazione nella storia moderna ( a parte i
figli dell’Europa del 1914) è mai stata così globalmente tradita dai
propri padri?
Mi angoscio su questo punto perché ho quattro figli, e anche il più
giovane di loro comprende che il loro futuro potrebbe essere
radicalmente diverso dal mio passato. La mia generazione di
«baby-boomers» consegna ai suoi eredi un’economia mondiale collassata,
un picco stupefacente di disuguaglianza sociale, guerre brutali
combattute sulle frontiere imperiali, e un clima planetario fuori
controllo.

Atene è considerata da molti come la risposta alla domanda: «dopo
Seattle, cosa ancora?» Il riferimento è alle dimostrazioni anti-Wto e
alla «battaglia di Seattle» del 1991, quando si aprì una nuova era di
protesta non violenta e di attivismo civile. L’incredibile popolarità
dei social forum mondiali, i milioni scesi in strada nel 2003 contro
l’invasione dell’Iraq da parte di Bush, il supporto diffuso al
protocollo di Kyoto, tutto ciò aveva alimentato l’enorme speranza che
un «altro» mondo fosse possibile

Eppure la guerra non è finita, le emissioni di gas serra sono
aumentate, e il movimento dei social forum sta languendo. Un intero
ciclo di proteste è giunto al termine proprio quando le caldaie del
capitalismo globale di Wall Street sono esplose, rivelando in un sol
colpo problemi radicali insieme a nuove opportunità per il radicalismo.
La rivolta di Atene mette fine a un lungo periodo di aridità di rabbia.
Il suo nucleo sembra insofferente agli slogan speranzosi e alle
soluzioni ottimistiche – distinguendosi così dalle spinte utopistiche
del 1968 e dallo spirito fiducioso del 1999. L’assenza di domande di
riforma, di sicuro, è ciò che scandalizza di più, non i cocktail di
molotov o lo vetrine rotte dei negozi. Non somiglia granché alla
sinistra studentesca degli anni ’60, né alle rivolte intransigenti dei
sottoproletari anarchici di Montmartre alla fine dell’Ottocento, e
neanche al «Barrio Chino» di Barcellona durante i primi anni ’30.
Alcuni attivisti, naturalmente, considerano i fatti di Atene come una
riproposizione dello stile di protesta di Seattle, alterato da un certo
quoziente di «passionalità mediterranea». Questa interpretazione
funziona all’interno del paradigma «Obama-porterà-il-cambiamento», che
legge il presente come un ritorno dei movimenti di riforma politica
degli anni ’30 e degli anni ’60.
Ma altri giovani attivisti di mia conoscenza rifiutano questa lettura.
Si identificano piuttosto (così come fecero gli anarchici fin de
siècle) con una «generazione perduta», e vedono nelle strade di Atene
il metro appropriato alla loro rabbia. È sicuramente pericoloso
sopravvalutare l’importanza di una rivolta che ha uno specifico
contesto nazionale, ma il mondo è diventato infiammabile, e Atene è la
prima scintilla.

Mike Davis
Fonte: www.ilmanifesto.it/

Pubblicato da grimaldello

dall'aprile 2006, nel cuore del centro storico di genova LA NOSTRA POSIZIONE E' QUELLA DI COMBATTENTI TRA DUE MONDI: UNO CHE NON RICONOSCIAMO, L'ALTRO CHE NON ESISTE ANCORA. OCCORRE FAR PRECIPITARE IL LORO SCONTRO, AFFRETTARE LA FINE DI UN MONDO, CONTRIBUIRE ALLA CRISI IN CUI RICONOSCERE I NOSTRI AMICI. "IL GRIMALDELLO" E' PENSATO PER QUESTO, UNO SPAZIO DOVE PROVARE A SCARDINARE LA PASSIVITA' E L'ALIENAZIONE A CUI IL CAPITALISMO CI COSTRINGE NEL QUOTIDIANO.