blocchiamo le città, sabotiamo la normalità

Si dice che i gatti hanno sette vite. Quello che sappiamo è che noi ne abbiamo una sola. Una vita di merda bloccata nelle false scelte che ci vengono propinate: studiare o lavorare, lavorare per sopravvivere o cavarsela per trovare dei soldi in una maniera o nell’altra; stare zitti o farsi manganellare quando ti fai sentire, starsene rinchiusi in casa o rifugiarsi nelle zone che puzzano di concentrazione di merci; rasentare i muri fino a diventare grigi come loro, drogarsi di psicofarmaci o di televisione, votare per la sinistra o la destra. Però in questo oceano di miseria, ci sono ancora dei momenti in cui s’intravede un’altra strada a quella in cui questo treno di morte pretende di trascinarci. Ogni persona che ha a cuore un desiderio di libertà non può far altro che andare in cerca della possibilità di bloccare quel treno, della scintilla che incendi la polveriera, ovunque questa possibilità e questa scintilla si manifestino. In questi giorni sono gli studenti che sono scesi con coraggio e immaginazione per le strade di tutte le città d’Italia, bloccandole e interrompendone la normalità. Con quali obiettivi? Bloccare la riforma Gelmini? Ma non è forse l’intera scuola per sua essenza a non esser altro che la palestra preparatoria a questa prigione a cielo aperto chiamata società? Affondare il governo Berlusconi? Ma in fondo non è soltanto una variante grezza nella gestione di un dominio totalitario e annichilente, uguale dappertutto? Scongiurare la crisi? Ma non sarebbe forse un bene questa crisi, se ci portasse ad una società in cui le persone, più povere di soldi per comprare merci stupide ma più ricche di tempo di vita, tornassero a
parlarsi ed autorganizzarsi, ridando per esempio vita a quei deserti popolati di paure e di fantasmi che sono le strade delle nostre città, abbandonate al controllo di telecamere, ronde e militari? Non c’è bisogno di definirsi studenti, disoccupati, lavoratori precari per avercela con questo mondo… Queste categorie servono soltanto al potere per dividere e per incanalare le proteste in qualcosa di definito e più facilmente controllabile; ed è quando si accetta di essere incasellati che gli organi di informazione di quello stesso potere possono dire che la rabbia è sempre “guidata” da persone estranee alle lotte, da presunti professionisti del disordine (centri sociali, anarco-insurrezionalisti !?). L’unica vera differenza tra chi sente l’urgenza di scendere in strada non sta nella situazione contingente in cui si trova a vivere, ma nei propri desideri più profondi, nella sostanza di quello che si vuole cambiare; l’unica linea di demarcazione nella protesta è tra chi si accontenta di chiedere che gli siano concesse le briciole per sopravvivere in questo sistema votato al collasso e chi vuole dare credito ai propri sogni per cominciare a vivere tutti i giorni in un modo radicalmente diverso. Questo sistema può (ancora per un po’ e solo ad alcuni) garantire la soddisfazione dei bisogni primari, ma non potrà mai accontentare i nostri desideri più autentici, la nostra realizzazione come persone nel senso più pieno. Limitarsi a chiedere una riforma e dei diritti è diverso dal contestare qualcosa per cominciare a mettere in discussione tutto. Questo è il confine tra una lotta che saprà prendere coraggio dalla propria esperienza e una lotta che accetterà il richiamo della campanella. Non a caso nel maggio 68, di fronte alla sommossa generalizzata nata dalle contestazioni degli studenti, De Gaulle affermò: “E’ ora di fischiare la fine della ricreazione”. Il cuore del potere è nella successione dei doveri indiscutibili e nei percorsi obbligati che gestiscono la nostra vita di tutti i giorni, dalla scuola al lavoro, dal tempo libero agli affetti. La contestazione del potere è nel sabotaggio di questa normalità, nella ribellione a questa schiavitù. Per questo è importante che chi sente l’urgenza di tentare qualcosa di più del blocco della riforma Gelmini non ceda alla tentazione di credere che il 14 dicembre sia un momento decisivo, un possibile capolinea della mobilitazione di strada nel caso in cui le cose andassero bene (?), e che per opporsi in modo efficace sia necessario andare alla manifestazione nazionale di Roma, dove tutto sarà più spettacolare, gestibile, etichettabile… e non solo dal potere (sbirri, giornalisti ecc.) ma anche dai professionisti della politica (partiti e sindacati) che da sempre speculano sulle lotte delle persone. Fanno appelli alla calma mentre la nostra vita intera e il pianeta crepano sotto la legge del profitto e del dominio. Pretendono di soffocare i nostri sogni di libertà chiedendoci di votare, di fare prova di pazienza o di rispetto. Di fronte a tutto ciò l’unica risposta possibile è ritrovare il piacere della sovversione ed esprimere una rivolta contro un sistema che non è né astratto né intoccabile. Il potere non è nei palazzi di Roma… è ovunque, nelle strade delle nostre città, nel tempo della nostra vita.
BLOCCHIAMO LE CITTA’
SABOTIAMO LA NORMALITA’

Pubblicato da grimaldello

dall'aprile 2006, nel cuore del centro storico di genova LA NOSTRA POSIZIONE E' QUELLA DI COMBATTENTI TRA DUE MONDI: UNO CHE NON RICONOSCIAMO, L'ALTRO CHE NON ESISTE ANCORA. OCCORRE FAR PRECIPITARE IL LORO SCONTRO, AFFRETTARE LA FINE DI UN MONDO, CONTRIBUIRE ALLA CRISI IN CUI RICONOSCERE I NOSTRI AMICI. "IL GRIMALDELLO" E' PENSATO PER QUESTO, UNO SPAZIO DOVE PROVARE A SCARDINARE LA PASSIVITA' E L'ALIENAZIONE A CUI IL CAPITALISMO CI COSTRINGE NEL QUOTIDIANO.